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Le proposte di Liberamentelibri

Qualcosa ci inventeremo di G. Scianna, Einaudi

Espressione viva dei nostri tempi: il disagio, la crisi e la voglia di andare avanti, di farcela da soli nonostante la vita non sia stata poi così tanto generosa.

"Qualcosa c'inventeremo" è una storia di due adolescenti che hanno da insegnare molto agli adulti, la loro capacità di adattamento e quel senso di onnipotenza che dovrebbe essere sconfitto o forse meglio tenuto sotto controllo.

Giorgio Scianna dimostra con un stile narrativo fluente ed una scrittura semplice, la complessità del mondo adolescenziale in una particolare "situazione" - come è definita dallo zio Eugenio e la zia Marge.

Una condizione scomoda, colma di dolore che nel romanzo sapientemente Scianna non mette in evidenza, anzi sposta l'attenzione proprio sulla vita, su come si può e si deve affrontare la vita da soli, orfani, ad un'età critica come quella dell'adolescente che ha bisogno di cure, considerazione, regole, punti di riferimento, modelli da seguire.

In "Qualcosa c'inventeremo" Mirko e Tommaso hanno perduto i loro genitori e sembra che non abbiano bisogno di nulla, non hanno pretese né aspettative, l'unico loro desiderio è quello di restare a Milano nella loro casa, evitando di trasferirsi con gli zii a Pavia per non perdere la loro scuola e le loro abitudini.

È una storia commovente, è un racconto che appassiona i giovani come gli adulti perché ad esempio disegna chiaramente le fragilità e i punti di forza di due adolescenti, diventati o forse costretti a farlo - adulti - dalla stessa vita. Emerge la solitudine che Mirko e Tommaso imparano ad affrontare e a colmare quotidianamente con coraggio; c'è anche la superficialità degli adulti ed è tanta: lo zio Eugenio vuole soltanto che i due ragazzi consegnino gli scontrini di ogni loro acquisto, ottengano ottimi risultati a scuola e tengano pulita la loro casa. Abitudini queste che mantengono; mentre, non riescono a sfuggire al senso di onnipotenza, non riescono a fermare la volontà di trasgredire.



Io e te di N. Ammaniti, Einaudi

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IIl protagonista di Io e te di Niccolò Ammaniti è un quattordicenne schivo e introverso di nome Lorenzo che si rifugia nella sua cantina per vivere una settimana di serenità.

Il ragazzo, infatti, stanco della finzione della società e dei fastidiosi bulli che gli rovinano le giornata, racconta di essere stato invitato a trascorrere la settimana bianca da un'amica. Il protagonista di Io e te può così può godersi la sua cantina, in cui si rifugia con romanzi horror, cibo in scatola e Coca Cola. A cambiare lo scenario arriva Olivia, sorella di Lorenzo, che con la sua vitalità afflittariuscirà a far uscire dal guscio il fratello.

Niccolò Ammaniti affronta ancora una volta il mondo adolescenziale con un romanzo bello, venato da una struggente amarezza.


II barone rampante di I. Calvino, Mondadori

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"Fu il 15 di giugno del 1767 che Cosimo Piovasco di Rondò, mio fratello, sedette per l'ultima volta in mezzo a noi. Ricordo come fosse oggi. Eravamo nella sala da pranzo della nostra villa d'Ombrosa, le finestre inquadravano i folti rami della grande elce del parco. Era mezzogiorno, e la nostra famiglia per vecchia tradizione sedeva a tavola a quell'ora, nonostante fosse già invalsa tra i nobili la moda, venuta dalla poco mattiniera Corte di Francia, d'andare a desinare a metà del pomeriggio. Tirava vento dal mare, ricordo, e si muovevano le foglie. Cosimo disse: - Ho detto che non voglio e non voglio! - e respinse il piatto di lumache. Mai s'era vista disubbidienza più grave."

Nel romanzo "Il Barone Rampante", Italo Calvino unisce l'ispirazione realistica che contraddistingueva il Neorealismo e la componente dell'invenzione fiabesca. L'autore ha la capacità di descrivere minuziosamente mondi surreali con razionalità. E' originale l'intreccio della trama che si snoda tra finzione e realtà, allegoria e satira. L'autore utilizza come luogo della trama Ombrosa, un paese immaginario della riviera ligure, anche se sono continui i cambi dei luoghi durante la narrazione e alla fine ci si sposta anche in altri paesi della Liguria o addirittura a Parigi, dove il fratello del protagonista principale Cosimo, andava per affari.

L'intera vicenda prende in considerazione la vita del personaggio principale nell'epoca direttamente successiva alla Rivoluzione francese (tra la fine del 1700 e la Restaurazione). Cosimo spicca su tutti per il suo grande anticonformismo e carattere e per la sua grande avversione nei confronti delle regole del suo ceto sociale. Interessante il tema principale del libro.

L'immagine di un uomo che si arrampica sulle piante per sfuggire alla solita routine e alla solita gente rappresenta in un certo senso una valvola di sfogo per l'uomo che decide di trovare una via di scampo e di evadere, non sempre contento della vita che ha. Ma in realtà, il protagonista, che si adatta a vivere su sostegni come i rami degli alberi, si deve ricredere dato che i rami sembrano forti all'apparenza, ma si rivelano poi soggetti ad ogni genere di pericolo.



Canne al vento di Grazia Deledda, Garzanti Libri

Focus su Grazia Deledda nell'ambito del progetto "Il mondo di Grazia Deledda" la cui realizzazione è prevista nel nostro Liceo per l'anno scolastico 2017/2018


vai al sito IL MONDO DI GRAZIA DELEDDA per ulteriori informazioni


Il romanzo narra le vicende della famiglia Pintor: padre, madre e le sue quattro figlie (Ruth, Ester, Noemi e Lia) che abitano in un villaggio sardo, chiamato Galte, poco distante dalla foce del Cedrino, sulla costa tirrenica della Sardegna. Si tratta di una famiglia di origine nobile che vive la propria vita senza particolari scossoni. Le donne si dedicano ai lavori domestici e sono costrette a sottostare alla volontà di un padre prepotente che si preoccupa solo di mantenere il prestigio e la reputazione della sua famiglia agli occhi della comunità isolana.

Solo Lia si ribella a questa condizione di mestizia malinconica nella quale sfuma perfino l'orgoglio, trasgredendo le regole imposte dal padre Don Zame, che è descritto come un uomo cupo e violento, paragonato al diavolo. Lia decide quindi di fuggire dalla Sardegna e approda a Civitavecchia. Don Zame impazzisce per il disonore e tenta invano di inseguire Lia.


Il vecchio che leggeva romanzi d'amore di Luis Sepulveda

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La storia del vecchio che vive ai margini della foresta amazzonica equadoriana con la sola compagnia dei romanzi d'amore prediletti ha appassionato tanti lettori in tutto il mondo. Ma il vero patrimonio di Antonio José Bolívar Proaño è una sapienza speciale, assorbita dalla grande foresta ai tempi in cui viveva immerso nel cuore della selva insieme agli indios shuar: un accordo intimo con i ritmi e i segreti della natura che i gringos, capaci soltanto di sfruttare e distruggere, non sanno capire. Solo un uomo come lui può dunque adempiere al compito ingrato di inseguire e uccidere il tigrillo, il felino accecato dal dolore per lo sterminio dei suoi piccoli, che si aggira minaccioso per vendicarsi sull'uomo. Un canto d'amore dedicato all'ultimo luogo in cui la terra preserva intatta la sua verginità. 

Il paradiso degli orchi di Daniel Pennac

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È Stefano Benni che dobbiamo ringraziare se nel 1991 Pennac sbarca in Italia con la fortunatissima saga di Malaussène. Benni legge Pennac, rimane affascinato dalla sua scrittura e lo propone a Feltrinelli. Oggi, nel retro della copertina del Paradiso degli orchi troviamo la sua bellissima introduzione nella quale lo definisce "uno scrittore d'invenzione, un talento fuori dalle scuole". Anche per questo primo romanzo del ciclo di Malaussène, il cui adattamento cinematografico diretto da Nicolas Bary è uscito nelle sale lo scorso 14 novembre, nessuna etichettatura è possibile.


Questo il luogo all'interno del quale si svolgerà gran parte del romanzo. La trama che seguirà è ormai nota: il protagonista, Benjamin Malaussène, nel grande Magazzino, svolge una professione a dir poco singolare, il capro espiatorio; la sua mansione è quella di muovere a compassione i clienti furiosi che presentano i più svariati reclami. Trasformare la rabbia in clemenza, l'indignazione in commiserazione, ecco il vero lavoro di Benjamin. Il risultato? Il ritiro di qualsiasi denuncia e reclamo da parte di ogni cliente inferocito. Questo stato di cose viene sconvolto da inaspettate, incomprensibili e ripetute esplosioni all'interno del Grande Magazzino. Il protagonista , suo malgrado, si troverà coinvolto in questi casi e parallelamente alle indagini della polizia, per legittima difesa, intraprenderà una personale ricerca della verità.
Gli ingredienti di una detective story ci saranno tutti: cadaveri, indagini della polizia, indiziati, ma la contaminazione di generi fa sì che il noir si sposi con toni comici e ironici, con trovate intelligenti e leggere. Pennac mescola il crudo realismo con il magico. Le brutture che si stanno consumando al Grande Magazzino vengono trasfigurate e esorcizzate dai racconti che, la sera, Benjamin fa alla nutrita banda dei fratelli e delle sorelle. Il racconto e il raccontare spazzano via ogni genere di preoccupazione sulla proprio sorte, sulla realtà opprimente. Le esplosioni tragiche vengono viste attraverso una lente fantastica, giocosa e il tutto diventa un'avventura. La parola prende vita e Benjamin ogni sera cura la propria famiglia con magnifiche lezioni di spensieratezza.
La numerosa famiglia di Malaussène è una delle colonne portanti del romanzo, famiglia vivace e colorata come il multietnico quartiere di Belleville. La madre "sintonizzata altrove" mette al mondo figli e poi sparisce; Thérèse ama l'astro-logica e appassionandosi ai casi delle bombe comincia a prevedere, seguendo strani calcoli, i momenti delle future esplosioni; Jeremy è vispo, curioso, intelligentissimo e per dimostrare le sue teorie riguardo alle indagini costruisce bombe artigianali che fa esplodere, per sperimentare, nella propria scuola; il piccolissimo disegna spaventosi Babbo Natale antropofagi; Louna, maggiorenne, infermiera e incinta è attanagliata dal dubbio di "voler far saltare il suo piccolo inquilino"; e su tutti la prediletta Clara, colei che "anestetizza l'orrore a colpi di otturatore".La fotografia permette a Clara di porre un filtro protettivo tra lei e la realtà, le dona il tempo e la giusta prospettiva per metabolizzare il mondo che la circonda. Ecco, dopo l'immaginazione, un altro lenitivo alla realtà: la fotografia.
La risoluzione dei casi sarà scomoda da accettare, emergerà il ritratto di una parte marcia dell'umanità e un'atmosfera malata che ha radici in un tempo non molto lontano dal nostro. Avverrà un combinazione pericolosa in cui si giocherà a mescolare le carte dei colpevoli e degli innocenti, del bene e del male.
La presentazione dell'intreccio non rende giustizia al romanzo, la cui forza sta soprattutto nella straordinaria capacità narrativa dell'autore, nel ritmo veloce della sua narrazione, nelle innumerevoli sorprese che scandiscono la successione di eventi pieni di suspense. Pennac avrà come carta vincente in questo romanzo e in tutta la saga un inesauribile spirito inventivo. E come dirà in Signori bambini "L'immaginazione non significa menzogna". 

È il 24 dicembre, sono le 16 e 15., il Grande Magazzino è strapieno. Una fitta folla di clienti gravati dai regali ostruisce i passaggi. Un ghiacciaio che cola impercettibilmente, in un cupo nervosismo. Sorrisi contratti, sudore lucente, ingiurie sorde, sguardi pieni d'odio, urla terrorizzate di bambini acciuffati da Babbi Natale idrofili. "

Se questo è un uomo di Primo Levi

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    «Quando non si riesce a dimenticare, si prova a perdonare»


critto da Primo Levi fra il dicembre del 1945 e il gennaio del 1947, dopo il suo ritorno dal campo di concentramento di Auschwitz, dove l'autore era stato rinchiuso dalla fine del 1943 e pubblicato per la prima volta nel 1947, Se questo è un uomo non ottenne un successo immediato. Nel 1956 la casa editrice Einaudi, la stessa che ne aveva rifiutato la pubblicazione nove anni prima, lo accolse fra i "Saggi". Da allora Se questo è un uomo é divenuto un successo editoriale pubblicato e ristampato in tutto il mondo. 

Nel libro viene descritto il periodo di prigionia compreso fra due terribili inverni nord europei, inverni durante i quali il narratore vede numerosi suoi compagni morire di stenti a causa delle proibitive condizioni ambientali, del precario stato igienico-sanitario del campo, del lavoro massacrante. Levi si trova dinnanzi a un sistema, il lager, organizzato e finalizzato all'annientamento della dignità umana. Dentro questo folle progetto di distruzione, l'uomo non riesce più a provare pietà, non conosce più l'amicizia, la ribellione, la speranza: si cura solo, assurdamente, di non morire e per questo lotta; combatte per mantenere in piedi quel mucchietto di ossa, senza altro scopo che non sia quello di aggiungere sofferenza alla propria condizione.

In una pagina straordinaria, eppure terribile, che sembra quasi voler ammonire il lettore, Levi narra la pubblica esecuzione di un prigioniero responsabile di una tentata ribellione; rientrato nella baracca l'uomo non riesce a guardare in faccia il suo compagno: «Quell'uomo doveva essere duro, doveva essere di un altro metallo del nostro, se questa condizione, da cui noi siamo rotti, non ha potuto piegarlo. Perché anche noi siamo stati rotti, vinti: anche se abbiamo saputo adattarci, anche se abbiamo finalmente imparato a trovare il nostro cibo e reggere alla fatica e al freddo, anche se ritorneremo. Abbiamo issato la menaschka sulla cuccetta, abbiamo fatto la ripartizione, abbiamo soddisfatto la rabbia quotidiana della fame, e ora ci opprime la vergogna». I più fortunati riescono a migliorare le proprie condizioni, i più deboli cadono sempre più in basso: ma che giovamento traggono i primi dal sopravvivere sulle spalle dei secondi, che vita sorge dallo spettacolo quotidiano dell'annientamento dei propri simili?

In una sua poesia del 1946, Il tramonto di Fossoli, Primo Levi si esprime in questi termini: «Io so cosa vuol dire non tornare, / e attraverso il filo spinato / ho visto il sole scendere e morire, / ho sentito lacerarmi la carne / le parole del vecchio profeta...». "Sapere", dunque, per lo scrittore coincide con il vedere e con il sentire, con il vedere pensieri di morte e con il sentire nella propria carne le parole. Per chi non ha provato questa esperienza sulla propria pelle non è possibile comprendere: ci si può fermare ad una più pacata intuizione, allo sdegno, alla commiserazione, ma il sapere è un'altra cosa, inesplicabile, puramente fisica.

"Sapere" è vedere dinanzi a sé un uomo che tenta di ridurre la tua vita a una condizione bestiale; eppure, chi compie tale azione è un uomo, non una incarnazione della malvagità, non un demone, perché questi sono prodotti della fantasia e come tali sono ancora comprensibili. L'uomo invece, forse l'ammonimento fondamentale che si può trarre dal romanzo di Levi, non lo è.

Non si può comprendere il lager, si possono piuttosto cercare di capire le cause che hanno portato alla sua creazione, tentare di spiegare i comportamenti del popolo tedesco e del popolo ebreo. Molto più difficile diventa conoscere in maniera profonda e intima chi in esso è stato rinchiuso, chi una volta libero ha sentito in sé risvegliarsi la coscienza e ha capito cosa significa esserne privati, chi dinanzi alla libertà finalmente conquistata ha sentito l'inerzia trattenerlo e ha lottato contro quest'altro nemico invisibile, subdolo, cercando di raffigurarlo per allontanarlo da sé, ma sentendolo inafferrabile, lontano da ogni uomo ma non tanto da non sentire il bisogno di metterli in guardia.

Se questo è un uomo nasce dunque dall'uomo, ma non è un'opera della sua fantasia, non può essere recepito come tale; scrivere queste pagine è costato sofferenza e, in qualche modo, lo scrittore pretende da noi uno sforzo analogo, disumano: cancellarci come lettori, sentire dentro noi quella stessa sofferenza fisica, fatta di ore, giorni e anni, sentire sotto le nostre scarpe pesanti e lacerate l'onnipresente pantano o, almeno, tentare di immaginare che qualcuno quelle sofferenze le ha provate veramente.

Se "comprendere" per Levi coincide con l' "immedesimarsi", questo non implica la necessità di un supporto, la nostra fantasia, sulla quale fare rivivere le esperienze narrate nel testo? Ma così facendo non si rischia di entrare in un circolo vizioso, ovvero fare ricadere nelle categorie conosciute ciò che in realtà non comprendiamo, né conosciamo direttamente? Si prenda ad esempio la descrizione degli ultimi dieci giorni di vita nel campo: essa sembra prendere a modello una rappresentazione dell'Inferno in cui uomini malati vagano strisciando come vermi in mezzo a cadaveri e sterco; gelati, nudi e affamati, non sembrano più persone ma larve alla ricerca di un po' di calore, esseri apparentemente fuori da questo mondo... E invece no: si tratta di esseri di questo mondo, i quali hanno solcato proprio questa terra, ricoperta da quei cadaveri che, un tempo, sono stati uomini sani e reali. L'inferno è una creazione umana.

Siamo ben lontani dall'ideale tardo-romantico, per la verità e significativamente più narrato che vissuto, della conoscenza che si raggiunge tramite la sofferenza fisica, e da quello eremitico delle pene corporali, dei digiuni, delle notti insonni come strumento in grado di avvicinarci al divino, dall'esigenza insomma di ottundere le proprie menti per semplificarne gli orizzonti, per ricadere in un discorso ancora una volta a suo modo estetico, culturale e rituale ed in definitiva umano. Il lager è diverso: la stessa lotta per la vita all'interno di esso non può essere valutata sociologicamente, come se tutto fosse stato un gigantesco esperimento, poiché all'interno del lager non vi è speranza di uscita, e un uomo senza speranza non lotta per continuare a sopravvivere. Forse la paura è il motore primo dei comportamenti, ma come ammetterlo? E allora bisogna forse abbandonarsi alla lettura e fingere di leggere di esperienze ormai lontane nello spazio e nel tempo dimenticando ciò che lo stesso Levi diceva: «È accaduto, può accadere di nuovo»?

Se questo è un uomo è un libro rigorosamente semplice e asciutto nella scrittura, senza domande, ma colmo di riflessioni in grado di sollecitare costantemente il lettore. Proprio qui sta la sua potenza espressiva, integra e attuale malgrado tanti anni dalla sua pubblicazione: nel suo presentarsi ai nostri occhi come un libro impossibile, impossibile da scrivere e da riscrivere; un romanzo che, trattando di genocidio, sa portarci in contatto con i misteri più insondabili e raccapriccianti insiti nella natura umana.

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